PUNTARE SULLE COMPETENZE, MA IL CAMBIAMENTO VA GOVERNATO
Pubblichiamo un nostro commento sulla riforma delle competenze nel mondo del lavoro, anche alla luce del Decreto Agosto. Il testo è scaricabile pure in pdf cliccando qui.
Il Decreto Agosto ha il pregio di porre un argine all’attuale situazione emergenziale che sta colpendo il mercato del lavoro. Tuttavia s’impone, ormai con assoluta urgenza, una riforma strutturale del futuro scambio tra domanda ed offerta di lavoro. A riguardo si consideri come, dal prossimo novembre, nella Provincia di Padova rischiano di rimanere senza occupazione circa 26.000 persone.
La continuità lavorativa è un assetto oggi superato dalle trasformazioni del mercato, a cui le norme hanno risposto in modo sgangherato e parzialmente approssimativo. Se non si vuole aprire le porte a nuove forme di precariato sottopagato ed al lavoro nero, sarà necessario sviluppare delle politiche attive volte a garantire la continuità, ma in aziende diverse, anche assicurando la progressione di carriera.
Per rendere possibile tale gestione della mobilità, la tendenza, appurata scientificamente ed indicata dall’Unione Europea, è quella da un lato d’investire sulla formazione professionale continuativa dei lavoratori e dall’altro di certificare le competenze apprese (qui la novità), in modo da rendere i curriculum vitae trasparenti e reali, permettendo al lavoratore di ricollocarsi (in questo senso si parla di potrabilità delle competenze) e al datore di lavoro di ottenere personale qualificato attualmente spesso mancante.
Questa impostazione sta bene, e d’altronde s’imporrà come inevitabile, ma sarà indispensabile governarla, non essendo scevra da limiti e distorsioni.
In primo luogo si dovrà prestare attenzione alla classificazione delle competenze. Esse dovranno essere uniformi a livello nazionale (salvo specifiche esigenze territoriali) e dovranno limitarsi alle abilità professionali, senza trasbordare in valutazioni attinenti alla personalità o alla vita privata del lavoratore. In tale prospettiva è in corso, già dal 2012, un’interessantissima sperimentazione in Regione Veneto (v. Repertorio Regionale Standard Professionali – RRSP).
Inoltre tra i parametri che definiranno le singole competenze lavorative non dovranno essere introdotti criteri volti a standardizzare le prestazioni, le quali diverrebbero altrimenti attività fungibili al pari di quelle offerte dalle macchine. Riferimenti al minutaggio o alla quantità produttiva risulterebbero eretici rispetto al principio della formazione, il quale affonda invece le sue radici sulla qualità delle prestazioni professionali.
Altresì rimane sul tavolo la questione inerente a chi si assumerà il costo di siffatta formazione certificata. Il D.L. Rilancio del maggio scorso con l’art. 88 ha promosso un investimento pubblico, incrementato col Decreto Agosto, ma si tratta pur sempre di somme decisamente esigue. Solo se la spesa, in quanto produttiva, sarà sostenuta anche dalle imprese la riforma potrà dirsi effettivamente di larga visione, altrimenti rimarrà un intervento sporadico o, ancor peggio, un balzello sui contribuenti-lavoratori.
Per di più vi è da considerare come, in ogni caso, debba essere data la possibilità al lavoratore, entro un certo limite, di scegliere il proprio percorso formativo, così come andrà affrontato il tema dei limiti di selezione del personale da parte delle imprese. E parimenti andrà approfondito il sostegno alla mobilità da un’azienda all’altra, anche in età avanzata, attraverso gli enti preposti (pubblici o privati), che in tale prospettiva dovranno essere anch’essi riformati.
Infine, ma primo in termini d’importanza, si evidenza come una tale riforma coinvolgerebbe innumerevoli altri aspetti della società. Dalla formazione scolastica-universitaria, alla valutazione di affidabilità del lavoratore innanzi agli istituti di credito (es. mutuo prima casa), alla revisione dei criteri di redazione dei bilanci aziendali. In quest’ultimo ambito sarebbe necessario modificare gli elementi contabili previsti dagli artt. 2423 e seguenti del Codice civile. Invero le competenze, essendo certificate, dovrebbero assumere un proprio valore economico, il quale dovrebbe trovare spazio, quale capitale intangibile, all’interno dello stato patrimoniale dell’impresa. Probabilmente si aprirebbe così un importante spiraglio alla distribuzione degli utili tra i lavoratori che, conseguentemente, avanzerebbero istanze di partecipare alla gestione aziendale.
Come si può notare, nonostante le fughe in avanti delle presenti riflessioni, le sfide che attendono il mondo del lavoro sono molteplici e complesse, non altrimenti prorogabili se vogliamo dare occupazione e fare dell’Italia un paese moderno. Il sindacato su questi temi è pronto a confrontarsi apertamente e nel merito.