Per un nuovo modello di sviluppo – di Ivana Veronese
L’immagine che tutti abbiamo negli occhi quando pensiamo allo Statuto dei lavoratori è la prima pagina dell’Avanti di quel giorno: il 20 maggio 1970. Il glorioso giornale socialista non soltanto dava la notizia della sua approvazione ma rivendicava il grande impegno nelle aule parlamentari di Giacomo Brodolini, il “compagno Giacomo Brodolini”.Arrivò a coronamento delle agitazioni e del fermento degli Anni ’60 – gli anni delle fabbriche occupate, della ripresa della contrattazione, del ’68 italiano e francese, degli studenti in piazza e del loro rapporto con la classe operaia. Anni di grande mobilitazione, attraversati da un profondo impulso riformista.Gli anniversari e le commemorazioni servono a mantenere viva la memoria di qualcosa, o qualcuno, di importante. Ma servono, soprattutto, a mettere a sistema bilanci e valutazioni di quanto fatto nel tempo intercorso dall’evento o dalla persona che si intende celebrare e a tratteggiare l’azione futura. Che dovrà essere più consapevole, più efficace, più utile agli individui e alla collettività. In una parola, migliore.Il fatto che il cinquantesimo anniversario dell’approvazione dello Statuto cada in un momento così complesso come quello che stiamo vivendo deve essere un’opportunità. Di riflessione e di azione. Per il Sindacato nel suo insieme, certo, ma anche per la politica e per il sistema di relazioni industriali che intendiamo costruire nel prossimo futuro. Una grande vicenda direttamente connessa al modello di sviluppo che vogliamo individuare per il nostro Paese, nel contesto europeo.Lo Statuto dei lavoratori ha, da una parte, sancito il protagonismo del Sindacato negli anni ’60 e, dall’altra, aperto a una stagione di conquiste sul piano dei diritti individuali e dei lavoratori di cui ancora oggi – spesso inconsapevolmente – godiamo i benefici.La Legge n. 300/1970 ha definito i diritti dei lavoratori ponendo le basi di una prospettiva che identifica, e tutela, lavoratrici e lavoratori nella loro più ampia identità di individui, riconoscendone anche il diritto alla formazione e alla salute, ad esempio, oltre che la libertà di espressione, di pensiero e di associazione anche in un luogo in cui la Costituzione, che queste libertà le enuncia tra i suoi principi fondamentali, faceva fatica a entrare e a trovare applicazione: le fabbriche e, più in generale, i luoghi di lavoro.Da quella prospettiva, che negli anni ha spesso trovato ostacoli al suo sviluppo, dobbiamo ripartire oggi che la separazione tra le tre identità – di lavoratrice e lavoratore; di individuo, con i suoi bisogni, necessità e aspirazioni; di cittadina e cittadino, partecipante attivo alla società in cui vive –è sempre meno netta. Questa sovrapposizione, che spesso è commistione, è uno dei nuovi fronti che il Sindacato è chiamato ad aprire: se affrontato adeguatamente, può originare opportunità di governare al meglio un mondo del lavoro e una società profondamente cambiati e tuttora in trasformazione ma, se ignorato o posposto, rischia di aprire vulnerabilità proprio nei soggetti già più deboli. Un esempio di questa sovrapposizione sono le donne e, in particolar modo, le madri e i rischi li vediamo proprio nella situazione in cui ci troviamo: nell’impossibilità di avere servizi e strumenti di organizzazione del lavoro e delle città adeguati a gestire al contempo la propria identità di genitori con quella di lavoratrici, si trovano spesso costrette a sacrificare quest’ultima.In questa importante giornata di celebrazione di una conquista fondamentale dopo anni di lotte, elaborazioni, impegno sindacale e politico; di uno strumento così d’avanguardia per quegli anni che ha reso in seguito possibili molti risultati fondamentali per la vita di milioni di lavoratrici e lavoratori – proprio oggi dobbiamo avere il coraggio di dire che il miglior modo per onorare lo Statuto dei lavoratori è rivitalizzare la sua forza riformatrice, facendosi promotori di una sua completa applicazione, rendendo i suoi principi ispiratori altrettanto efficaci in un mondo del lavoro profondamente cambiato, forse irriconoscibile, rispetto a cinquant’anni fa. Sia da un punto di vista delle tipologie di lavoro che lo costituiscono – dove l’atipicità, se è consentito il gioco di parole, è invece sempre più tipica, dove la precarietà è sempre più diffusa, dove avere un contratto di lavoro non dà più la garanzia di poter provvedere in maniera dignitosa a sé e alla propria famiglia e dove esistono e ogni giorno nascono nuovi lavori che è impossibile tutelare adeguatamente con schemi e strumenti di cinquant’anni fa – sia dal punto di vista dei diritti, delle libertà e delle esigenze da tutelare.Uno dei tanti fili conduttori che devono legare l’oggi a quel 20 maggio 1970 è l’irrinunciabilità del Sindacato. Dopo decenni di tentativi di marginalizzarlo, infatti, il Sindacato ha dimostrato proprio in questa pandemia il suo ruolo essenziale e insostituibile: ad esso è difficile non riconoscere il merito di aver contribuito, se non determinato, alla tenuta del tessuto sociale, grazie alla sua capacità di essere collettore di istanze e necessità delle lavoratrici e dei lavoratori e di portarle all’attenzione del decisore politico.Il mondo che uscirà da questa pandemia dovrà essere profondamente diverso da quello che vi è stato coinvolto all’inizio di questo 2020. Dovremo, tutti, impegnarci per un profondo rinnovamento, ciascuno all’interno del proprio contesto e tutti insieme nella società e nel mondo del lavoro che collettivamente costituiamo e viviamo.E dobbiamo partire dai principi ispiratori di quella legge così rivoluzionaria, nata per rappresentare, lungo decenni di storia e cambiamenti sociali ed economici, un faro e un monito: tutelare il lavoro, le lavoratrici e i lavoratori, le persone nella loro ricca e arricchente complessità.