Buon 2021
Secondo le statistiche le prospettive sociale ed economiche dell’Italia post pandemia sono molto più che sconfortevoli. Secondo l’ISTAT nel 2020 si attesterà una contrazione del Pil del – 8,3% e solo una parziale ripresa nel 2021 a + 4,6%. Si tratta di uno scenario economico che porta a paragonare le condizioni malconce del nostro Paese a quelle post belliche, soprattutto in vista dello scadere del blocco dei licenziamenti.
Oltre a questo v’è tuttavia da considerare come l’attuale congiuntura sia già stata preceduta dalle altre note crisi economiche e finanziarie del 2008 e del 2011.
L’Italia, in questi primi anni ’20 del nuovo secolo, si trova con:
- un’alta percentuale di popolazione giovanile emigrata, piaga scomparsa 60 anni fa, con la differenza che oggi si tratta di giovani con un’istruzione altamente qualificata;
- un tasso di povertà in costante crescita, nel decennio 2009-2019 + 60% e la previsione per il solo 2020 di + 30%, con il 27,3% delle famiglie che vive “sulla soglia” di tale dato;
- la contrattazione collettiva (nazionale e territoriale) ed il sistema giuslavoristico sconquassati;
- bassissimi investimenti statali in istruzione, sanità, modernizzazione tecnologica;
- la popolazione più vecchia d’Europa, col 22,8 % sopra i 65 anni;
- un’altissima percentuale di persone che soffrono di depressione, nel 2018 il 5,4% della popolazione.
A pagarne maggiormente le spese sono i giovani-adulti compresi tra i 25/28 anni ed i 40/45 anni, qualificabili come la nuova generazione uscita dalla guerra, questa volta economica.
A risentirne anche il termometro politico, sempre più sbilanciato verso i due estremi che appaiono all’elettorato come risolutivi grazie a facili e demagogiche ricette (non a caso si prospetta Salvini-Conte quali futuri sfidanti alla carica di Presidente del Consiglio), che rimette ad una cerchia sempre più ristretta di persone le decisioni collettive (dal parlamentarismo novecentesco, al governismo fino agli attuali comitati tecnici esterni nominati dal premier).
Da mettere in campo sarebbe un Progetto per la ricostruzione, che riguardi i vari aspetti di crisi sopra evidenziati, ma che non si limiti alle questioni economiche, ma diparta a lambire i confini morali della società.
Per attuare tale prospettiva morale è il caso di dare rilevanza al lavoro, unica forza vivificatrice, fuoco inestinguibile di virtù, mezzo di conoscenza del mondo e di se stessi, strumento di dignità individuale e collettiva, creatore del senso del vivere, sviluppatore di coscienza, per cui vale la pena faticare e spaccarsi la schiena, mettendo definitivamente tra le ortiche, dove ben sta, l’idea che si può vivere senza lavorare, magari attraverso la fruizione di sussidi o con sotterfugi meramente cartolari.
Questo permetterebbe di dare alla nostra Repubblica quel nervo spirituale che oggi le manca. Si sa che gli Stati, una volta abbandonata la loro spiritualità, dedicatisi all’effimero e alla soddisfazione del ventre molle (es. antichi Egitto, Grecia, Roma), crollano. Potere temporale e spirituale, in uno Stato che si perpetua, sono il secondo l’asse verticale del primo, che, venuto meno, l’affloscia, e d’altronde l’aggettivo “temporale” indica come esso muti col tempo, come tutte le membra, solo l’ossatura non muta mai: o esiste oppure no. Questo è il problema che sarà da risolvere alla svelta. Sicché se fino all’800 era la religione a ricoprire l’incarico del potere spirituale, nel ‘900 è il laico lavoro ad averne ricoperto la vestigia. Oggi il nulla.
Il lavoro, questo sconosciuto. Secondo una recente ed acuta analisi di Luca Ricolfi nel suo La società signorile di massa, solo il 45% circa dei redditi italiani proviene dal lavoro, il restante 55% circa da eredità, pensioni, rendite immobiliari e finanziarie. Questi punti vanno colpiti per rimettere in piedi il Paese. La situazione si è verificata poiché: si fanno sempre meno figli, i quali ereditano un numero plurimo di masse ereditarie; si sono moltiplicate a dismisura le pensioni ed i sussidi erogati, concessi a pioggia. Per risolvere ciò, senza traumi, opzione estrema che Noi aborriamo, è necessario stilare un Patto tra generazioni, perché non è vero che tutelare i giovani significa tenerli al sicuro sotto l’ombra di un’eredità o di un reddito immobiliare.
Negli ultimi anni la classe imprenditoriale s’interroga molto sul cambio generazionale alla guida delle imprese. Ammette che i loro figli sono cresciuti con l’i-phone in mano e la macchina lussuosa a 18 anni. Quello sanno usare. Ben diverso dai quattro soldi con cui è stata costruita l’Italia durante il boom. Tutelare i propri figli significa farli sudare, metterli alla prova del mondo, lasciarli senza un soldo, sottoporli a duri riti d’iniziazione come avveniva nelle società arcaiche.
Allora, Noi ci chiediamo, da dove nasceranno gli Uomini Nuovi salvatori del Paese? Da chi ha ricevuto o casualmente vissuto siffatta educazione. Questi uomini faranno discendere l’unguento che lambirà la bandiera, uomini forgiati dal lavoro, con le mani e le braccia sporche fino alle spalle ed il grembiule consunto ed usurato. In quella classe sarà il Salvator Mundi, e Noi saremo al suo fianco per agevolarne, preservarne e testimoniarne l’opera.
Una vittoria, quella di spezzare le catene dai vizi descritti, che non è affatto scontata. A Voi l’azione, giovani eletti, temprati dal fuoco sacro del lavoro, instancabilmente ed incessantemente, con l’aiuto di D-o.
In questo senso che sia un 2021 pieno di grazia, lo auguriamo di cuore.