Breve ricognizione su cos’è e cosa non è l’educazione parentale
a cura dell’avv. Marco Destro del foro di Padova, ricercatore del Centro Ricerche Toni Destro
Cos’è l’educazione parentale
Per “educazione parentale”[1] s’intende la formazione dei figli senza affidamento agl’istituti scolastici.
L’educazione parentale può comportare, alternativamente, o la custodia a precettori, o ad enti diversi dalla scuola, oppure la vera e propria auto-istruzione da parte dei genitori o degli esercenti la potestà genitoriale (c.d. homeschooling).
S’insiste preliminarmente sul fatto che l’educazione parentale è l’alternatività stessa rispetto alla scuola (pubblica o privata che sia) e non i metodi individuabili al suo interno. Essa è la forma, non i suoi contenuti. Questi potrebbero essere adottati anche dalla scuola, ancorché sia risaputo che non è così.
Per quali ordini e gradi scolastici è possibile l’educazione parentale
In assenza di limitazioni normative (così come si vedrà più avanti nel testo) l’educazione parentale è possibile a partire dalla scuola primaria (ex elementari) fino alla scuola secondaria di secondo grado (ex superiori).
Qual è il motivo che spinge i genitori ad adottare questo metodo? E quali sono i numeri in Italia?
Il motivo che spinge i genitori ad adottare l’educazione parentale è il precipitoso abbassamento del livello d’istruzione e d’educazione che offre la scuola. Questa flessione si riscontra maggiormente nella scuola pubblica. Sotto l’aspetto istruttivo si parla di “analfabetismo di ritorno”, mentre sotto il profilo educativo è all’attenzione di tutti la situazione sociale giovanile.
Attualmente non esistono statistiche precise sul numero di famiglie che hanno adottato tale modello; approssimativamente vengono stimati in circa un migliaio i nuclei familiari che hanno scelto l’educazione parentale.
Quando nasce l’educazione parentale?
L’educazione parentale è sempre esistita, essa è anzi il modello storicamente adottato per la formazione dei figli. I ricchi possidenti ricorrevano a precettori privati per educare e istruire i minori, mentre la classe lavoratrice era totalmente esclusa dall’istruzione. Solo con l’incardinarsi dello Stato sociale è stata prevista la possibilità anche per i figli delle famiglie più povere di ricevere un’istruzione di base. Ciò è stato raggiunto, per motivi attinenti alla spesa pubblica e all’efficienza del servizio, attraverso la costituzione di centri d’istruzione denominati “scuole”. Attraverso le scuole veniva messo a disposizione dei meno abbienti un’insegnante, riproducendo in larga scala quello che i ricchi praticavano da centinaia di anni con l’uso dei precettori.
Nel corso del tempo la scuola si è continuamente rafforzata, imponendosi come modello educativo di massa.
Tuttavia, nonostante la scuola sia stata percepita nel corso del tempo come una scelta sempre più vincolata, l’educazione parentale ha continuato a sopravvivere, seppur in ambienti ristretti, e oggi ha trovato una ripresa grazie a movimenti e associazioni.
L’educazione parentale non è mai stata vietata in Italia. Il fatto che la scuola venga avvertita come unica scelta esclusiva per l’istruzione dei minori, non vuol dire che essa sia obbligatoria. Invero la questione nasce da un equivoco di fondo, cioè la confusione tra i verbi “istruire ed educare” e la locuzione “andare a scuola”. Se da un lato l’istruzione e l’educazione dei minori sono obbligatorie, imposte dalla Costituzione repubblicana, dall’altro non è affatto obbligatorio andare a scuola. L’istruzione e l’educazione si possono ben raggiungere anche attraverso altre via, quali l’educazione parentale, per esempio, o metodi ancora inesplorati (magari un giorno sarà possibile farlo in pochi minuti, attraverso una qualche misteriosa macchina computerizzata).
Alcuni passaggi storico-legislativi[2] importanti a riguardo sono:
- Il 4 settembre 1971 l’Assemblea nazione francese deliberava, su proposta del marchese illuminista Nicolas de Condorcet, un sistema scolastico gratuito e universale al fine di “procurare l’indefinita perfettibilità dell’uomo” (dal Rapporto di Condorcet). Tale sistema consentiva la facoltà di continuare ad operare l’istruzione parentale, per chi se lo poteva permettere. Siffatto testo normativo avrebbe trovato applicazione anche nel successivo Regno d’Italia Napoleonico.
- Nel Regno d’Italia l’art. 326 del Decreto n. 3725 del 13.10.1859, proposto dal Ministro Casati, prevedeva l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione. Recitava: “I padri, e coloro che ne fanno le veci, hanno obbligo di procacciare, nel modo che crederanno più conveniente, ai loro figli dei due sessi in età di frequentare le Scuole pubbliche elementari di grado inferiore, l’istruzione che vien data nelle medesime. Coloro che avendo comodo di adempiere quest’obbligo pel mezzo delle Scuole comunali, si asterranno dal mandarvi i figli senza provvedere effettivamente in altra guisa all’istruzione loro, saranno esortati dal rispettivo Sindaco ad inviarli a queste Scuole, e quando senza legittimo motivo persisteranno nella loro negligenza saranno puniti a norma delle Leggi penali dello Stato”.
Dalla lettura delle disposizioni si può quindi rilevare il substrato culturale in cui erano immerse.
Le norme che regolano l’educazione parentale.
L’educazione parentale è oggi normata in Italia da numerose disposizioni che di seguito sono conseguentemente riportate, corredate da un breve commento.
Art. 147 Codice civile (1942) – Diritti verso i figli
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’art. 315-bis.
Art. 315-bis Codice civile (1942) – Diritti e doveri del figlio
Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Le norme del Codice civile pongono degli obblighi in capo ai genitori, tra cui quello di educare e istruire i figli, ma non è previsto alcun obbligo di farlo attraverso la scuola.
Art. 30, comma 2, della Costituzione
È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
In questa prima disposizione costituzionale emergono diversi elementi importanti: istruire ed educare i figli è un dovere dei genitori; l’istruzione è diversa dall’educazione e l’una si aggiunge all’altra; non emerge alcun obbligo scolastico.
Art. 33, commi 2-3-4-5, della Costituzione
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
La disposizione non disquisisce direttamente di educazione parentale, tuttavia non la vieta. Si sottolinea a riguardo che: la Repubblica ha il compito di prevedere (obbligatoriamente, “detta”) le norme generali sull’ “istruzione”; i privati possono fondare “istituti di educazione” (lo è un’associazione che impartisce l’educazione); solo le scuole (e non altri enti) possono (se lo vogliono) chiedere la parità; qualora un soggetto volesse essere ammesso ad una scuola dovrà sostenere un esame. È chiaro come la Costituzione viva in un substrato ideologico pluralista, che consente la diversificazione dei metodi formativi.
Art. 34, comma 2, della Costituzione
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
La norma ci significa che l’istruzione (e no la scuola) dev’essere impartita per almeno otto anni.
Per conoscere i lavori preparatori di questi articoli, si consiglia di consultare il sito internet: https://www.nascitacostituzione.it/index.htm. Come si potrà verificare, l’impostazione culturale è favorevole all’educazione parentale, la quale ha continuato ad essere praticata senza normazione fino agli anni ’90, quando è stata promulgata la prima disposizione legislativa di rango ordinario che segue.
D.Lgs. 297/1994 – Testo Unico Istruzione
Art. 109, comma 1 – Istruzione obbligatoria
In attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, l’istruzione inferiore è impartita nella scuola elementare e media. Essa ha la durata di almeno otto anni ed è obbligatoria e gratuita.
Art. 111 – Modalità di adempimento dell’obbligo scolastico
All’obbligo scolastico si adempie frequentando le scuole elementari e medie statali o le scuole non statali abilitate al rilascio di titoli di studio riconosciuti dallo Stato o anche privatamente, secondo le norme del presente testo unico.
I genitori dell’obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dell’obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità.
L’art. 109 del T.U. Istruzione prevede l’obbligatorietà della scuola. Tuttavia, per non incorrere in una censura d’incostituzionalità (v. sopra), l’art. 111 chiarisce che tale obbligo può essere adempiuto anche attraverso l’impartizione privata dell’istruzione. Al secondo comma dell’art. 111 è specificato che ciò è possibile o “privatamente” (formula ampia, es. attraverso precettori o un’associazione) o “direttamente” (c.d. homeschooling), a condizione che i genitori posseggano, alternativamente, la capacità tecnica oppure economica, con l’unico adempimento di avvertire di tale scelta, anno per anno, l’autorità competente (ovvero la scuola prossimale presso cui avrebbero iscritto il figlio).
Art. 4, commi 1-6-7-8, Ordinanza Ministeriale 9 marzo 1995, n. 80
Per scuola familiare si intende l’attività di istruzione elementare svolta direttamente dai genitori o da persona a ciò delegata dai genitori stessi. Gli alunni che assolvono all’obbligo con tale modalità sono ammessi a sostenere gli esami di idoneità o gli esami di licenza in una scuola elementare di Stato, nel circolo di competenza territoriale rispetto alla residenza della famiglia.
(…)
Le domande di partecipazione agli esami di idoneità di licenza da parte degli alunni di scuola familiare e privata devono essere presentate ai direttori didattici competenti per zona entro il 28 febbraio di ciascun anno.
La domanda di iscrizione agli esami, redatta in carta semplice, deve essere corredata del programma dell’attività svolta.
Le iscrizioni agli esami di idoneità per la frequenza delle classi seconda, terza, quarta e quinta e l’iscrizione agli esami di licenza per l’ammissione al successivo grado dell’istruzione obbligatoria, sono consentite agli alunni privatamente preparati che abbiano compiuto, o compiano entro il 31 dicembre, rispettivamente il sesto, il settimo, l’ottavo, il nono ed il decimo anno di età.
La norma di terzo livello s’innesta nel solco delle precedenti, specificandole nel concreto. Viene prevista la competenza del circolo territoriale in riferimento alla residenza della famiglia (una previsione in ogni caso pleonastica) e un termine per la presentazione delle domande di partecipazione agli esami d’idoneità (si rileva che il termine viene annualmente modificato attraverso le Circolari Ministeriali, pertanto si consiglia di monitorare la produzione normativa).
Art. 1, comma 4, D.Lgs. 76/2005 – Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione
I genitori, o chi ne fa le veci, che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dei propri figli, ai fini dell’esercizio del diritto-dovere, devono dimostrare di averne la capacità tecnica o economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità, che provvede agli opportuni controlli.
Con siffatta disposizione viene statuito (in modo superfluo) il potere dell’autorità di effettuare gli opportuni controlli.
Le norme che seguono sono invece una miscellanea di Circolari Ministeriali, che non hanno forza di legge, le quali ribadiscono quanto espresso nelle norme precedenti. Sono riportate per mera ricognizione, ma si significa che vengono emanate ogni anno, eventualmente con modifiche, e pertanto si suggerisce di accertarsi della loro produzione.
Circolare MIUR n. 93 del 23.12.2005 – Istruzione parentale
I genitori o gli esercenti la potestà parentale che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dei minori soggetti al diritto-dovere nel primo ciclo d’istruzione, secondo quanto previsto dall’articolo 111 del decreto legislativo n. 297/94, debbono rilasciare al Dirigente scolastico della scuola vicina alla propria residenza apposita dichiarazione da rinnovare anno per anno.
Circolare Ministeriale n. 32 del 14.03.2008 – Scrutini ed esame di Stato a conclusione del primo ciclo di istruzione[3] – Anno scolastico 2007-2008
Gli alunni che assolvono l’obbligo attraverso l’istruzione familiare – attività d’istruzione primaria svolta direttamente dai genitori o da persona a ciò delegata dai genitori stessi – o presso scuole non statali non paritarie sono ammessi a sostenere gli esami di idoneità in una scuola primaria statale o paritaria del territorio. (…) Le domande di partecipazione agli esami di idoneità, redate in carta semplice e corredate dal programma dell’attività svolta, devono essere presentate ai capi d’istituto delle scuole statali o paritari entro il 30 aprile[4].
Circolare Ministeriale n. 35 del 26.03.2010 – a.s. 2009/10 – primo ciclo di istruzione – candidati esterni: esami di idoneità e di Stato (uguali Circolari Ministeriali n. 27 del 05.04.2011, n. 110 del 29.12.2011, n. 48 del 31.052012, n. 51 del 18.12.2014 e successive)
All’obbligo scolastico si adempie:
(…) con istruzione parentale. I genitori, o coloro che ne fanno le veci, che intendano provvedere direttamente all’istruzione degli obbligati, devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione, all’inizio di ogni anno scolastico, alla competente autorità (dirigente scolastico di una delle scuole statali del territorio di residenza) che provvede agli opportuni controlli (art. 111 D.L.vo n. 297/1994; art. 1, comma 4, D.L.vo 15 aprile 2005, n. 76).
(…) Sono obbligati a sostenere gli esami di idoneità: ogni anno, coloro che assolvono all’obbligo con istruzione parentale.
Si osserva che l’ultima Ciroclare ha introdotto l’obbligo dell’esame d’idoneità “ogni anno” e non solo al termine del ciclo di studi come per le scuole paritarie. Tale previsione è stata (probabilmente) introdotta per verificare l’effettività dell’insegnamento (come attestarlo altrimenti?), ma si ritiene totalmente illegittima non essendo la circolare una fonte normativa.
Art. 1, comma 181, lett. i), Legge delega 107/2015 c.d. Buona Scuola
i) adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato, anche in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle competenze, attraverso:
1) la revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti del primo ciclo di istruzione, mettendo in rilievo la funzione formativa e di orientamento della valutazione, e delle modalità di svolgimento dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo;
2) la revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87, 88 e 89.
Art. 23 – Istruzione parentale D.Lgs. 62/2017
In caso di istruzione parentale, i genitori dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente, ovvero coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza. Tali alunni o studenti sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione.
Con l’art. 23 del D.Lgs. attuativo della c.d. Buona Scuola viene previsto l’obbligo, per gli studenti istruiti attraverso l’educazione parentale, di sostenere l’esame annuale d’idoneità (questa volta la norma ha rango legislativo).
Tale previsione è stata acutamente contestata da una parte del movimento parentale, il quale ha lamentato un’intollerabile lesione alla libertà di scelta costituzionale. Tuttavia non risulta allo stato essere stata sollevata alcuna questione di legittimità innanzi alla Corte delle leggi.
La dichiarazione
Come sopra evidenziato, è necessario comunicare ogni anno al Dirigente dell’Istituto scolastico competente per territorio, in base al criterio della residenza, la decisione di procedere all’istruzione e all’educazione dei propri figli attraverso l’educazione parentale.
Di seguito è riportata una bozza di dichiarazione che, come si vedrà, è molto semplice. Si consiglia l’invio a mezzo raccomandata A/R o la consegna a mani tramite protocollazione.
Esempio di comunicazione
Città, data
Erg.
Dirigente scolastico
dell’Istituto XY
Oggetto: Comunicazione educazione parentale.
Egregio Dirigente scolastico,
I sottoscritti MADRE, nata a XY il XY, e PADRE, nato a XY il XY, entrambi residenti a XY in via XY, in qualità di genitori/esercenti la potestà genitoriali del minore XY, nato a XY il XY, [se necessario, v. dopo: iscritto alla classe XY di codesto Istituto XY],
comunicano
la loro volontà d’adempiere all’obbligo d’istruzione scolastica per il/la proprio/a figlio/a [oppure: per il minore suddetto], per l’anno scolastico XY, tramite il ricorso all’educazione parentale ai sensi degli artt. 30 e 33 della Costituzione Italiana, dell’art. 111, comma 2, del D.Lgs. 297/1994, dell’art. 1, comma 4, del D.Lgs. 76/2005 e dell’art 23 del D.Lgs. 62/2017.
Inoltre
dichiarano
di possedere la capacità tecnica ed economica [eventualmente o l’una o l’altra] per garantire al/alla proprio/a figlio/a [oppure: al minore] l’adempimento del diritto e del dovere all’istruzione e all’educazione per l’anno scolastico XY.
Cordiali saluti.
Firme
Quand’è possibile presentare la dichiarazione
In mancanza di precisi termini legislativi (l’art. 111, comma 2, del D.Lgs. 297/1994 utilizza genericamente la locuzione “anno per anno”) si deve ritenere che la dichiarazione possa essere presentata in qualsiasi momento, anche ad anno scolastico in corso.
Si osserva inoltre che l’educazione parentale può concernere, stante l’assenza di previsione contraria, anche la c.d. primina, ovvero l’anticipazione del primo anno della frequentazione scolastica.
La richiesta d’esame
La domanda di partecipazione all’esame d’idoneità per l’accesso alla classe successiva, divenuto obbligatorio in seguito all’art. 23 del D.Lgs. 62/2017, dev’essere presentata al medesimo Dirigente scolastico. Si rileva, come già precedentemente osservato, che il termine di presentazione è annualmente stabilito da un’apposita Circolare Ministeriale e pertanto si consiglia di monitorare la produzione normativa[5].
Si riporta di seguito un esempio di richiesta da inviare/depositare secondo le modalità suddette.
Esempio di richiesta
Città, data
Erg.
Dirigente scolastico
dell’Istituto XY
Oggetto: Richiesta di partecipazione l’esame d’idoneità.
Egregio Dirigente scolastico,
I sottoscritti MADRE, nata a XY il XY, e PADRE, nato a XY il XY, entrambi residenti a XY in via XY, in qualità di genitori/esercenti la potestà genitoriali del minore XY, nato a XY il XY,
vista
la loro volontà d’adempiere all’obbligo d’istruzione scolastica per il/la proprio/a figlio/a [oppure: per il minore suddetto], per l’anno scolastico XY, tramite il ricorso all’educazione parentale ai sensi degli artt. 30 e 33 della Costituzione Italiana, dell’art. 111, comma 2, del D.Lgs. 297/1994, dell’art. 1, comma 4, del D.Lgs. 76/2005 e dell’art 23 del D.Lgs. 62/2017
considerato
che siffatta volontà è stata regolarmente comunicata a codesto Istituto scolastico tramite raccomandata A/R n. XY [oppure tramite nota depositata al protocollo il ________]
chiedono
che il/la proprio/a figlio/a [oppure: il minore] sia ammesso/a a sostenere l’esame d’idoneità per l’accesso alla classe successiva così come previsto dalla Circolare Ministeriale n. 32 del 14.03.2008 e dall’art. 23 del D.Lgs. 62/2017.
Cordiali saluti.
Firme
Chi vigila sull’obbligo
A vigilare sull’adempimento dell’obbligo d’istruzione ed educazione è il Dirigente scolastico individuato secondo le regole di competenza territoriale suddette. Tuttavia la legge prevede l’obbligo di vigilanza parimenti in capo al Sindaco (o un suo delegato) del luogo ove il minore possiede la residenza[6].
Ciò è espressamente previsto dall’art. 2, comma 1, del Decreto Ministeriale 13 dicembre 2001 n. 489 (s’invita a leggerlo integralmente al fine di avere una piena contezza circa i poteri comunali e scolastici in caso d’inadempimento dell’obbligo).
Alla vigilanza sull’adempimento dell’obbligo di istruzione provvedono secondo quanto previsto dal presente regolamento:
a) il sindaco, o un suo delegato, del comune ove hanno la residenza i giovani che, in virtu’ delle disposizioni vigenti, sono soggetti al predetto obbligo di istruzione;
b) i dirigenti scolastici delle scuole di ogni ordine e grado statali, paritarie e, fino a quando non sarà realizzato, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 marzo 2000, n. 62, il definitivo superamento delle disposizioni di cui alla parte II, titolo VIII del testo unico approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, parificate, pareggiate o legalmente riconosciute, presso le quali sono iscritti, ovvero hanno fatto richiesta di iscrizione, gli studenti cui è rivolto l’obbligo di istruzione.
Pertanto, nel caso dell’educazione parentale, spetta al Dirigente scolastico e al Sindaco (o un suo delegato) il dovere e il potere di verificare, tramite richieste bonarie o atti inquisitori[7], in primis la sussistenza dei requisiti di capacità tecnica oppure economica in capo ai genitori (o a chi detiene la responsabile genitoriale), e altresì l’effettivo assolvimento dell’obbligo d’istruzione.
In astratto, perciò, non possono accedere all’educazione parentale i genitori che non hanno né un’istruzione sufficiente né una capienza reddituale tale da permettere la retribuzione di precettori. Comunque esclusi coloro che fingono l’educazione e l’istruzione o comunque quando esse siano insufficienti.
Per un ulteriore chiarimento sul punto si veda l’interessante nota dell’Ufficio Scolastico dell’Emilia Romagna del 21.03.2018 scaricabile in fondo al testo.
Cosa non è l’educazione parentale
L’educazione parentale non è un modo per elidere l’obbligo vaccinale.
A riguardo si ricorda che a normare l’obbligo vaccinale è intervenuta la legge 31 luglio 2017 n. 119, di conversione con modifiche del decreto legge 7 giugno 2017 n. 73. In base a siffatta normativa è stato ribadito, ampliandolo, l’obbligo per tutti i genitori o gli esercenti la potestà genitoriale di vaccinare i minori sottoposti alla loro tutela.
In merito ai riflessi giuridici delle suindicate disposizioni nell’ambito dell’educazione parentale è necessario preliminarmente chiarire che, mentre esse riguardano i minori dai 0 ai 16 anni, l’educazione parentale concerne esclusivamente l’età dell’obbligo scolastico.
In merito alla procedura di verifica dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, essa è riportata all’art. 3-bis della legge sopra citata. In primo luogo si rileva come la responsabilità di tale verifica sia in capo al Dirigente scolastico e come la stessa sia suddivisa in quattro fasi:
- entro il 10 marzo il Dirigente trasmetta all’ASL territorialmente competente l’elenco degli iscritti;
- entro il 10 giugno l’ASL restituisce l’elenco indicando i soggetti che risultano non in regola con gli obblighi vaccinali;
- entro 10 giorni dal ricevimento degli elenchi, il Dirigente invita informalmente i genitori o gli esercenti la potestà genitoriale a depositare entro il 10 luglio i documenti attestanti l’effettuazione delle vaccinazioni oppure l’esonero, l’omissione o il differimento delle stesse;
- entro il 20 luglio il Dirigente comunica all’ASL le risultanze dell’istruttoria, trasmettendo le relative documentazioni ricevute e segnalando gli eventuali mancati depositi.
Dalla contezza della normativa si può pertanto concludere che la verifica del rispetto dell’obbligo vaccinale spetta unicamente ai Dirigenti scolastici, esclusa alcuna possibilità di controllo in capo a precettori o associazioni svolgenti l’attività d’educazione parentale[8]. Il rapporto sussiste unicamente tra i genitori e l’istituzione scolastica presso la quale si è comunicata la volontà di procedere all’educazione parentale.
Si conclude ricordando che non vaccinare i propri figli comporta una sanzione amministrativa, comminata dall’ASL, da € 100,00 ad € 500,00, ferma restando la responsabilità penale in caso di false dichiarazioni. Inoltre che l’omessa presentazione della documentazione impedisce la partecipazione agli esami[9].
Le caratteristiche dei luoghi
Tale paragrafo interessa unicamente le associazioni che praticano l’educazione parentale, le quali radunano in un unico luogo numerosi minori. Non riguarda invece l’educazione e l’istruzione impartite attraverso precettori e la c.d. homeschooling, nelle quali il rapporto con i discenti è “uno a uno” o quasi.
Si ricorda comunque che, in ogni caso, per tutti si applicano le norme basilari dell’urbanistica e dell’edilizia, ovvero il non abusivismo della costruzione[10], la sussistenza dell’abitabilità, le conformità legislative degli impianti (es. omologazione caldaia, impianto elettrico, ecc.), il rispetto delle norme antisismiche, antincendio, igienico-sanitarie, di efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico.
Inoltre che l’attività di un’associazione, qualora sia svolta con l’impiego di personale dipendente o autonomo, comunque con prestazioni lavorative, dev’essere altresì conforme al Testo Unico per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (Documento di Valutazione del Rischio con speciale attenzione alla presenza di minori; la Valutazione del rischio incendio; il Manuale di autocontrollo per la sicurezza alimentare HACCP) (in materia operano aziende specializzate).
La problematica ulteriore si pone sull’applicazione o meno delle norme edilizie e di sicurezza concernenti le scuole, le quali richiedono adempimenti ulteriori rispetto agli immobili ad uso abitativo e/o lavorativo, rinvenibili nel Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975 “Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica”.
Nonostante le associazioni che svolgono l’attività d’educazione parentale sostengano correttamente di “non essere una scuola”, si deve tener conto delle diverse teorie formatesi sul punto, qui di seguito sintetizzate.
- Una prima tesi propende per l’applicazione del Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975. Tale conclusione, in mancanza di una qualsiasi normativa in materia, è effettuata per analogia. Stante la delicatezza degli interessi in gioco (la sicurezza e l’igiene dei luoghi) questa tesi ritiene di affidarsi all’interpretazione più restrittiva e precauzionale.
- Nessuna applicazione è dovuta del Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975, stante il fatto che l’educazione parentale non è una forma di scuola. Il punto focale di questa tesi è centrato sui modelli educativi adottati: poiché la scuola si basa su una certa metodologia d’insegnamento, ad essa si applicano le relative norme; l’educazione parentale, invece, adotta metodi totalmente altri, tutti alternativi a quello scolastico, e pertanto ad essa non possono essere applicate le medesime norme. Ad esempio, se un tale metodo formativo prevede il contatto dell’infante con diversi materiali, come il legno o la paglia, è chiaro che le costruzioni e gli oggetti “del mestiere” devono essere confacenti e servienti questo metodo.
- Interessante è invece una tesi intermedia. Il Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975 va applicato per quanto possibile, ovvero nel suo minimo comune denominatore, valutando caso per caso la singola attività e la singola struttura. Secondo questa teoria i luoghi dove si svolgono le attività d’educazione parentale possono essere alternative, ad esempio possono svolgersi in una tenda o in un iglù, ma questi devono comunque garantire l’areazione, una sufficiente luce e quant’altro sia possibilmente applicabile come previsto dal decreto menzionato.
Per rendere ancor più chiara la questione, esplicitandola nelle sue varie applicazioni, si prendono da spunto alcuni casi tipici. Pensiamo all’insegnamento in una yurta, in un dodecaedro, in una piramide, o ad attività in serre, magazzini, laboratori; ancora all’uso di materiali da costruzioni quali il legno, il vetro, le canne di bambù, la paglia e il cocciopesto (invece che cemento, ferro e plastica).
A siffatti edifici, a seconda della teoria a cui s’aderisce, dev’essere applicato o meno il Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975. Ma proprio qui s’innesta la tesi intermedia, interessante proprio per questo. È chiaro che le norme edilizie scolastiche sono state ideate sulla scuola così come la conosciamo, eppure il testo normativo può essere sfrondato da questa raffigurazione della mente, spremendolo in modo tale da ricavarne dei principi universalmente applicabili, ovverosia, in altri termini, la ratio delle previsioni. Tuttavia, qualora non sia possibile ricavare alcun principio, tanto sarà sufficiente a giustificare la sua disapplicazione.
In base a ciò la yurta è lecita, ma dev’essere di materiale non infiammabile e deve garantire un adeguato riciclo dell’aria e una sufficiente illuminazione.
Ma qualcuno si chiede: perché i servizi igienici devono essere divisi per maschi e femmine? In effetti da tale disposizione non si ricava un utile principio e pertanto può essere tranquillamente disapplicata.
Se ne conclude che, pertanto, la normativa edilizia non è necessariamente quella del Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975, ma che da tale bisogna partire per verificare la condizione dei luoghi.
Ulteriore riflessione giuridica conferente è di natura strettamente privatistica e parte dalla considerazione che l’iscrizione presso un’associazione che svolge attività di educazione parentale è pur sempre un contratto di diritto privato ed è libera scelta dei genitori educare i propri figli come meglio credono. Pertanto sarebbe facoltà di un genitore obbligarsi con un’associazione che promuova l’educazione dell’infante in luoghi extra-scolastici, purché ciò non violi la tutela dei suoi diritti costituzionalmente tutelati quali la salute e l’integrità fisica. Pertanto, anche alla luce di ciò, sembra ampiamente preferibile la tesi intermedia suddetta: né applicazione né disapplicazione del Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975, ma razionale valutazione.
E il divieto della presenza di scale per i bambini della scuola primaria? Per questo il dubbio rimane, poiché ciò che viene in rilievo è la sicurezza dell’infante e la questione si fa più delicata. Forse, in questo caso, una maggiore prudenza è consigliabile.
Si tiene a specificare, ai fini di chiarezza espositiva, che tali considerazioni valgono per gli edifici e gli spazi, non per le attività che in essi si svolgono. Invero nel presente paragrafo non si disquisisce se sia lecito o meno accendere una candela od un incenso durante un’attività, ma del confacente stato dei luoghi. Cos’è possibile fare al loro interno è altro ed invero sarà compito del responsabile della sicurezza individuare le modalità lecite di svolgimento delle attività, certamente tenendo in considerazione proprio i luoghi stessi.
Inoltre si consideri l’art. 71, comma 1, del Codice del Terzo Settore, applicabile ai soli enti iscritti al Runts, che recita: “Le sedi degli ETS e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”. Ancorché non sia obbligatoria l’iscrizione al Runts, è chiaro come, chi scelga di aderirvi, qualora svolga un’attività di tipo produttivo, debba premunirsi di prendere in uso un luogo urbanisticamente confacente. Nel caso dell’educazione parentale la questione si pone in merito alla definizione di “produttività” dell’attività di eduzione ed istruzione. È essa attività produttiva? In caso di risposta affermativa la destinazione urbanistica dei luoghi dovrà essere necessariamente “istruzione”. A riguardo sono individuabili due teorie: 1) l’eduzione e l’istruzione sono un prodotto poiché hanno un apprezzabile valore economico sia in termini di reddittività nell’età adulta dei discenti sia in termini di quantità di PIL generato dall’attività stessa; 2) l’educazione e l’istruzione sono un servizio in quanto non risolvono nella creazione di un prodotto materiale, bensì di un bene immateriale; invero l’educazione e l’istruzione sono servizi pregressi e servienti la produzione stessa. A parere di chi scrive l’interpretazione corretta è ragionevolmente la seconda.
A riguardo del Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975, esso individua al suo interno tutta una serie di prescrizioni, a cui si rimanda, per i luoghi in cui si svolge la formazione scolastica. In questa sede si citano solamente i principali elementi su cui l’associazione deve prestare particolare attenzione.
- L’altezza delle pareti.
- La presenza di scale.
- La presenza di parcheggi.
- L’areazione dei luoghi.
- L’illuminazione dei luoghi.
- I servizi igienici (es. divisi per maschi e femmine, con antibagno, con porte senza chiavi in taluni casi).
- Spogliatoi.
- La cucina e la mensa.
Si consiglia, prima d’iniziare l’attività, di verificare il rispetto della normativa tramite l’affidamento di un incarico ad un professionista (architetto) con l’eventuale successivo adeguamento dei luoghi.
Infine s’intende portare l’attenzione dei lettori su due fenomeni ulteriori e contigui alle questioni edilizie. Il primo concerne la c.d. “scuola all’aperto” o “scuola nel bosco”, ovvero l’educazione parentale svolta al di fuori di qualsiasi edificio. Essa, è chiaro, non avrà alcun vincolo edilizio, essendo effettuata all’esterno. Semmai sussisteranno prescrizioni solamente per quelle porzioni di attività svolte al chiuso (es. bagni) o servienti la stessa (es. parcheggi).
Il secondo fenomeno concerne il far mangiare, e come, i ragazzi durante il corso della giornata formativa. Qualora l’associazione preveda il consumo di un pasto, essa potrà: a) fa premunire i minori con vettovaglie portate da casa; b) utilizzare un sistema di catering; c) preparare essa stessa il cibo. Nei casi b) e c) l’associazione dovrà adoperarsi per ottenere dai genitori la dichiarazione di eventuali affezioni allergiche, in modo da predisporre al meglio il servizio. In ogni caso garantire il rispetto delle norme igienico-sanitarie in tema di mensa (nell’ipotesi a) il non scambio del cibo tra bambini).
La proposta di legge
Per mantenere uno sguardo sull’attualità si segnala la proposta di legge n. C. 1953 presentata il 02.07.2019 alla Camera dei Deputati dai parlamentari della Lega (prima firmataria on. Ketty Fogliani).
La proposta, il cui testo può essere scaricato in fondo al testo, prevedere l’erogazione di un contributo economico per i genitori che scelgono l’opzione parentale. Essa non è ancora stata discussa né in Commissione né alla Camera, né sono stati presentanti emendamenti.
Il partito Lega è attualmente l’unico che sostiene, attraverso iniziative parlamentari, l’educazione parentale. Una parte del sindacato, quale la CGIL, si è dichiarata apertamente contraria all’educazione parentale in genere, in quanto erodente l’ambito dell’educazione pubblica. Si segnala che la provenienza ideologica del movimento pro-educazione parentale è composita e tendenzialmente suddivisa in anarchismo (frangia che rifiuta l’accettazione delle norme esposte nel presente studio) e cattolica (favorevole alla normazione).
Il presente studio è coperto dai diritti d’autore. Ogni riproduzione è vietata salva espressa autorizzazione dell’Autore.
[1] La terminologia adottata è invero impropria in quanto l’educazione è solamente uno degli ambiti d’apprendimento del minore, sussistendo anche l’importante campo dell’istruzione. Infatti, mentre con il termine educazione s’intende unicamente quel complesso di norme disciplinanti il buon comportamento, col termine istruzione ci si riferisce alle mere nozioni variamente diversificate per materia.
[2] Per un approfondimento sull’educazione parentale nel mondo vedi la pagina web: https://it.wikipedia.org/wiki/Istruzione_domiciliare
[3] Scuola media (l’esame di quinta elementare è stato abolito nel 2004 a partire dall’a.s. 2004/2005).
[4] Si ribadisce che il termine viene annualmente modificato attraverso le Circolari Ministeriali e pertanto si consiglia di monitorare la produzione normativa.
[5] Non trattandosi si termine perentorio (ovvero statuito a pena di decadenza), la richiesta può essere presentata anche successivamente senza che la scuola possa utilmente eccepire l’inammissibilità. Ciò ovviamente entro l’inizio effettivo dell’esame.
[6] Siffatta competenza discende dal principio di sussidiarietà previsto dall’art. 117 della Costituzione.
[7] Si riporta l’art. 9, comma 6-ter, della legge provinciale 11 luglio 2018 n. 10 della Provincia di Bolzano, la quale (per il relativo territorio di competenza) ha chiarito (qualora ve ne fosse il dubbio) che “qualora gli esercenti la responsabilità genitoriale provvedano all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione mediante l’istruzione parentale, sono tenuti a comunicarlo di anno in anno alla o al dirigente dell’istituzione scolastica di riferimento, dimostrando di avere competenze specifiche e capacità economiche adeguate. La dirigente scolastica o il dirigente scolastico attiva, nel rispetto delle direttive emanate dalla Giunta provinciale, le necessarie forme di controllo, anche per accertare lo sviluppo degli apprendimenti e gli apprendimenti raggiunti al termine di ogni anno scolastico. Al termine della scuola primaria, gli alunni e le alunne sono comunque tenuti a sostenere un esame di idoneità ai fini dell’ammissione al successivo grado di istruzione, oppure all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione, in qualità di candidati e candidate privatisti. Inoltre sostengono un esame di idoneità anche nel caso in cui richiedano l’iscrizione a una scuola a carattere statale, a una scuola professionale della Provincia o a una scuola paritaria”.
La Provincia di Bolzano, con deliberazione della Giunta provinciale 12 dicembre 2017 n. 2268, ha altresì previsto agli artt. 8.1 e 8.2 che i genitori, contestualmente alla dichiarazione di volesti avvalere dell’educazione parentale, devono altresì presentare un progetto d’istruzione che sia in armonia con quello adottato dalla scuola territorialmente competente. Siffatto progetto è oggetto di valutazione del Dirigente scolastico al fine dell’autorizzazione all’educazione parentale.
[8] È pertanto illegittima una verifica, a mezzo o meno della forza pubblica, presso la sede di un’associazione svolgente l’attività d’educazione parentale, non incombendo sulla stessa alcun dovere di controllo circa l’assolvimento dell’obbligo vaccinale.
[9] Nel caso delle scuole dell’infanzia (asili) comporta la decadenza dall’iscrizione. Come si accennava nel testo, l’educazione parentale può avere inizio solamente con l’obbligo scolastico. Precedentemente è unicamente una facoltà quella di consegnare i propri figli ad un ente educativo. Pertanto, nel quest’ultimo caso, qualora si scelga di accudirli in proprio o tramite precettori o ente non rientranti nel sistema educativo per l’infanzia, sarà impossibile per l’ASL verificare l’adempimento dell’obbligo vaccinale, procrastinando il controllo all’iscrizione scolastica.
[10] A riguardo si consideri l’introduzione del glossario individuante le opere ad edilizia libera, nel quale vi rientrano, tra gli altri, serre, opere di arredo da giardino (fontane, muretti, scultura, panche, fioriere), gazebi, giochi per bambini, spazi giochi in genere, pergolati, ricoveri per animali, ripostigli per attrezzi, tende, coperture d’arredo, manufatti leggeri (roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni), servizi igienici mobili.
Si specifica tuttavia che la giurisprudenza di merito ha individuato nel criterio dell’ “incidenza sullo stato dei luoghi” il criterio distintivo tra l’obbligo di richiesta di permesso a costruire o meno. Il TAR Lazio (Latina) con sentenza 25 febbraio 2019 n. 119, a riguardo dell’installazione di un container, ha infatti statuito che “È legittimo il provvedimento recante l’ordine di demolizione di opere edilizie idonee a trasformare in modo permanente il territorio, a causa dell’uso stabile delle stesse, poiché in materia edilizia rileva l’oggettiva idoneità delle strutture installate ad incidere sullo stato dei luoghi, per cui la precarietà va esclusa ogni volta che l’opera sia destinata a fornire un’utilità prolungata nel tempo”.
Parimenti il medesimo TAR Lazio (Latina), con sentenza del medesimo giorno 25 febbraio 2019 n. 128, ha deciso in riferimento ad una pergotenda che “Non serve il permesso di costruire per una pergotenda costituita da una mera struttura metallica di sbarre trasversali per l’inserimento di un telo para-sole adiacente al fabbricato, stabilmente ancorata ad esso e al suolo ma aperta su tutti i lati e sul cielo, cioè priva di copertura e tamponature esterne. Ciò in quanto detta la struttura non è idonea a creare volume o superficie e, quindi, trasformazione urbanistica del territorio, giacché la tenda avvolgibile che essa è unicamente destinata a servire si risolve, in ultima analisi, in un mero elemento di arredo esterno dell’edificio in muratura al quale è infissa e sulla cui originaria identità e conformazione non può certamente incidere né nel senso della creazione di una nuova costruzione né in quello di una ristrutturazione e trasformazione di quella preesistente, non condividendo la natura e le consistenza degli elementi costitutivi del fabbricato cui pertiene” (id. Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2016 n. 1619). E proseguendo: “Nel caso di specie, l’opera principale non è la struttura di sostegno in sé ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzato ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa e, ad ogni evidenza, privo delle caratteristiche di consistenza e rilevanza che potrebbero connotarla in termini di componente edilizia di copertura e chiusura” (id. Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2017 n. 306; sez. VI, 27 aprile 2016 n. 1619; sez. VI, 11 aprile 2014 n. 1777; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 2 luglio 2018 n. 646; TAR Lazio, Roma, sez. II, 22 giugno 2018 n. 7014; TAR Lazio, Roma, sez. II, 22 dicembre 2017 n. 12632).