14 luglio festa della libertà

Pubblichiamo un’interessante intervista da Panorama del 12.7.21 allo storico Francesco Dendena.

«C’è un filo rosso che collega il 4 luglio, la festa nazionale americana, al 14 luglio, la festa nazionale francese». Sa di che cosa sta parlando, lo storico Francesco Dendena. Da 15 anni di base a Parigi, da cui ha collaborato anche per Panorama, è uno specialista della Rivoluzione francese. Dopo essere stato assegnista di ricerca all’Università Statale di Milano, oggi lavora come ricercatore alla Biblioteca nazionale di Francia. Attraverso la festa della Presa della Bastiglia, ci racconta la soft diplomacy dell’Eliseo.

Che cosa rappresenta oggi il 14 luglio per i francesi?
«Il 14 luglio è una festa ancor oggi molto sentita. In particolare, ha assunto un carattere militare, che però è molto posteriore rispetto alla Rivoluzione francese: le prime sfilate militari sono della Terza Repubblica. Dopo il 1870, quella che inizialmente era una festa popolare è diventata una festa più militare, soprattutto in un’ottica anti-tedesca. E da allora è rimasta un momento di comunità fra la nazione e l’esercito repubblicano. Detto questo, però, la sera del 13 luglio è festeggiata anche con danze popolari. Per esempio in tutti i quartieri di Parigi ci si incontra con la polizia e con i pompieri».

I famosi balli dei pompieri…
«Esatto. Quindi la festa ha anche un carattere spontaneo, meno costruito. Diciamo poi che, nella cultura popolare, il 14 luglio è l’unica data veramente sentita. Tutte le altre giornate, come la morte del re, sono o scomparse o contestate. Il 14 luglio invece è l’unico su cui ci sia un consenso globale».

Ma come viene percepito il suo carattere militare dalla popolazione francese?
«È contesta da una parte delle forze politiche. Soprattutto a sinistra, dicono che il 14 luglio dovrebbe essere rinnovato: vorrebbero far sfilare la Croce rossa e i pompieri, anziché i soldi. Però la parata militare ha una caratteristica forte: sugli Champs-Elysées c’è sempre un sacco di gente. Perché, nonostante tutto, l’Esercito è molto più presente nella società francese che per esempio in quella italiana: i soldati sono molto più numerosi, c’è una storia diversa… In Francia, insomma, le forze armate sono ancora abbastanza sentite».

La parata a cui si riferisce è quella sugli Champs-Elysées il 14 mattina?
«Di parata c’è solo quella, in cui sfilano tutti i corpi militari con degli invitati. Ogni anno ce n’è uno diverso. Un anno c’è un Paese, quello successivo un altro… Per esempio, quando c’è stato l’anniversario dello sbarco in Normandia sono stati invitati tutti i Paesi che hanno partecipato allo sbarco, Stati Uniti in primis. Anniversari a parte, la scelta del Paese ospite è un indizio per capire le svolte diplomatiche della Francia. In base al Paese che viene invitato alla parata si possono capire gli orientamenti della politica estera francese. Per esempio, quando c’è stato il riavvicinamento con la Siria, Nicolas Sarkozy aveva fatto sfilare le truppe siriane. Quando c’è stato il riavvicinamento con la Russia, hanno sfilato le truppe russe».

Quest’anno il Reggimento di marcia del Ciad aprirà la parata dell’esercito.
«Si tratta delle truppe che stanno lottando contro i jihadisti in Centrafrica: sono gli alleati su cui Parigi punta di più in questo momento. Il presidente del Ciad, il dittatore Idriss Déby, è morto lo scorso 20 aprile. Era un alleato storico della Francia e non a caso Emmanuel Macron è stato l’unico presidente europeo a recarsi ai suoi funerali. Il Ciad è il Paese con cui la Francia ha rapporti molto stretti, motivati dal comune obiettivo della lotta contro il terrorismo, con una base militare molto grandi. Poiché il potere del nuovo presidente è ancora incerto, il messaggio è: “Siete i nostri alleati di prima scelta e quindi vi mettiamo al posto d’onore nella parata del 14 luglio”. Tra l’altro, quello del Ciad è un esercito africano molto ben addestrato».

Non a caso, il 5 luglio scorso Macron ha ricevuto all’Eliseo il nuovo presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby…
«Che è il figlio del vecchio presidente, quello appena morto».

Quindi ora Parigi sta puntando sul Ciad?
«È proprio così: attraverso la parata si capisce che il Ciad è l’alleato con cui al momento vuole rafforzare i legami».

A proposito di Stati Uniti: Parigi ha appena regalato una seconda Statua della libertà a Washington. Un altro segnale di riavvicinamento, in termini di soft diplomacy?
«Sì, sì. Anche se non è per forza vero, la Francia si considera davvero il primo alleato degli Stati Uniti, perché il generale Lafayette era andato a combattere a fianco a George Washington durante la Guerra d’indipendenza».

Storicamente, quindi?
«Storicamente si è sempre sentita il principale alleato degli Stati Uniti. Infatti ha sofferto molto dei cattivi rapporti con Washington ai tempi di Donald Trump. In realtà quest’alleanza fra le due prime due nazioni libere del mondo è molto presente nel discorso politico. Perché dopo la Guerra d’indipendenza c’è stata naturalmente la Prima guerra mondiale, poi la Seconda… Ognuna di queste viene considerata come una tappa di quel percorso fatto insieme a partire dalla fine del diciottesimo secolo. Il concetto è: “Siamo le due nazioni sorelle”. Ed è giocato molto sia a livello politico sia a livello diplomatico».

Ma è davvero così?
«Non è che sia per forza vero. Però ad ogni discorso si torna a questo momento fondatore di Lafayette, che sarebbe stato il trait d’union fra la Guerra d’indipendenza americana, il 4 luglio, e il 14 luglio. E anche la festa della presa della Bastiglia riprende alcuni schemi dell’Indipendence day».

In che senso?
«Soprattutto nei primi tempi della Rivoluzione francese, gli americani erano gli invitati d’onore ai banchetti del 14 luglio. Tra l’altro, tutti gli uomini che avevano partecipato alla Guerra d’indipendenza ebbero poi un ruolo importante nel luglio 1789, tanto a livello delle idee quanto concretamente nella costruzione del nuovo regime sorto dopo il 14 luglio. Basti pensare che appena due giorni prima della presa della Bastiglia, Lafayette aveva presentato la Dichiarazione dei diritti della Pennsylvania».

È tutto un gioco di rimandi…
«Esattamente. L’idea era: “Facciamo come negli Stati Uniti”. Perché allora si pensava che l’America
aveva fatto la giusta rivoluzione: la libertà ma senza eccessi. E il 14 luglio dovrebbe proprio riprendere il modello americano».

Non è un caso che questa seconda statua della libertà verrà esposta a Washington il 14 luglio davanti alla residenza dell’ambasciatore francese.
«È la dimostrazione del filo rosso di cui parlavo all’inizio. Anche se il 14 luglio ha la particolarità di essere diventata una festa militare».

Ma oltre alla parata sugli Champs-Elysées, ci sono altri eventi militari il 14 luglio?
«In tutti i Comuni ci sono i festeggiamenti del sindaco con le forze di polizia, i reduci e gli eventuali reggimenti di stanza nell’area. È come il nostro 25 aprile, solo che, qui in Francia, ci sono le sfilate militari. Immancabili, poi, le bande. Nel Sud della Francia, i reggimenti della Legione straniera sfilano e fanno dei concerti. È un legame molto forte, che in realtà risale al diciannovesimo secolo. Perché la festa della Bastiglia è stata festeggiata durante tutta la Rivoluzione a partire dal 1790 fino a Napoleone, che poi nel 1804 la cancella perché vuole che l’unica grande festa nazionale francese sia il suo compleanno, il 15 agosto. Nel 1806 impose per decreto imperiale la celebrazione di “San Napoleone” il 15 agosto. Un santo inventato, perché non esisteva San Napoleone».

Megalomane.
«Già… Durante la Rivoluzione, però, il 14 luglio era una delle tante feste, non la più importante. La Francia dovette aspettare il 1880 perché il 14 luglio diventasse festa nazionale».